18 ottobre 2016

Acqua: diritto umano o bonus sociale ?

Le mistificazioni della politica e delle imprese rispetto a come garantire il diritto umano all’acqua
Il dibattito su come garantire l’accesso all’acqua potabile costituisce una delle sfide globali dei prossimi 15 anni, condizionata sempre di più dai cambiamenti climatici. A sostegno del riconoscimento promozione del diritto all’acqua si sono tradizionalmente mobilitati i movimenti della società civile; in questi ultimi anni si assiste ad un attivismo da parte degli Stati ma soprattutto delle Imprese che gestiscono l’acqua che devono fare i conti con un numero crescente di morosi che non pagano la bolletta dell’acqua.
Il dibattito è diventato di attualità anche in Italia.

La Gazzetta ufficiale del 14 ottobre 2016 contiene nell’ambito del Collegato Ambientale, un decreto che impegna l’Authority (AEEGSI) a fissare i criteri di gestione delle morosità.

A Milano negli stessi giorni, la società CAP Holding che gestisce il servizio idrico nell’Area Metropolitana ha annunciato uno stanziamento di 2 milioni di euro, che saranno ripartiti tra i Comuni della Città metropolitana di Milano in proporzione agli abitanti per sostenere gli “utenti” in difficoltà nel pagamento della bolletta. 
Il Bonus si concretizza in un importo minimo di 50 euro da destinare ai cittadini e alle famiglie in difficoltà, intestatari di una fornitura idrica individuale o condominiale. Saranno i Comuni in base al loro regolamento di accesso ad assegnare a ciascun beneficiario il bonus. Questa proposta di fatto si configura come una partita di giro: la società concede un bonus sulla tariffa ma di fatto riduce il contenzioso della Società di gestione del servizio e si garantisce un minimo di entrate tariffarie certe attraverso il Comune. Di fatto non si garantisce il diritto umano all’acqua.

In parallelo al Parlamento nella Commissione Ambiente del Senato è in discussione il DDL n.2343(Principi per il governo e la gestione pubblica dell’acqua, che prevede il riconoscimento legislativo del diritto umano all’acqua e regolamenta l’accesso gratuito ad almeno 50 lt/g/persona, anche ai morosi e ai meno abbienti, attraverso la tariffa, ma in questa sede sia alcuni parlamentari, che alcune società di gestione e lo stesso Ministero dell’Ambiente hanno sollevato obiezioni e criticità rispetto all’obbligo di garantire il diritto umano all’acqua a tutti i cittadini.

Nel contempo in Francia, dove le multinazionali continuano a sospendere l’erogazione del servizio ai morosi nonostante sentenze della Corte, al Parlamento si discute una proposta di legge sul diritto all’acqua che ha bocciato l’attivazione di un Fondo nazionale per garantire il minimo vitale alle fasce più disagiate e prevede di garantire il diritto umano all’acqua e ai servizi igienici di base solo invitando i Comuni a realizzare fontanelle e servizi igienici negli spazi pubblici, cioè attraverso politiche di welfare sociale del servizio.

La sfida dell’accesso all’acqua potabile indispensabile per garantire la sopravvivenza e la dignità della vita umana ritorna dunque al centro del dibattito politico in diversi paesi e merita pertanto una seria riflessione a livello di società civile.

C’è infatti il rischio di buttare a mare i successi ottenuti, nel corso degli ultimi 10 anni, dai Movimenti che hanno sostenuto la proposta lanciata dal Contratto Mondiale sull’acqua con il Manifesto di Lisbona (1998) ed ottenuto il riconoscimento da parte dell'ONU dell’acqua come “diritto umano e bene comune dell’umanità". Questa mobilitazione ha fatto sì che dal luglio del 2010 la comunità internazionale abbia riconosciuto il diritto umano all’acqua e ai servizi igienici di base, come un diritto universale, autonomo e specifico.
Dopo questo importante risultato, l’attenzione di buona parte dei Movimenti e comitati si è però concentrata sui modelli di governo e gestione del servizio idrico, sul contrasto ai processi di privatizzazione della gestione del servizio, sulla natura giuridica delle società di gestione, sul metodo di determinazione della tariffa e sua composizione, trascurando di incalzare gli Stati a concretizzare il diritto umano all’acqua attraverso provvedimenti legislativi e strumenti vincolanti di diritto internazionale.

Questa strategia finalizzato alle situazioni locali, ha fatto si che il riconoscimento del diritto umano all’acqua sia rimasto un principio riconosciuto ma non vincolante, in primis da parte di quei Governi, come la Bolivia, promotori del diritto umano all’acqua. Ha inoltre consentito al sistema delle Nazioni Unite di derubricare, nella definizione della Agenda 2030 degli obiettivi di sviluppo sostenibile, il diritto all’acqua da diritto umano universale in diritto all’accesso economico al servizio all’acqua attraverso il pagamento di un “prezzo equo” ed una “gestione economicamente sostenibile”.

In questo filone si inseriscono le tendenze in atto anche in Italia come le norme previste dagli articoli 60 e 61 del Collegato Ambientale, finalizzate a definire e regolamentare il fenomeno della morosità nel servizio idrico integrato che si ritiene costituisca un fattore di grave criticità della gestione in quanto pregiudica l’equilibrio economico finanziario.

Tenuto conto che l’Organizzazione mondiale della sanità ha fissato tale quantitativo minimo vitale in almeno 40 litri a persona al giorno (Division for sustainable development «Rio 2012 issue briefs-water») il provvedimento punta a garantire alle “utenze in documentate condizioni economiche disagiate” l’accesso ad un quantitativo minimo vitale anche in caso di morosità.

Quali sono i limiti e le criticità di questo approccio a tutela della morosità delle fasce meno ambienti, peraltro frutto di sollecitazioni del Forum e sostenuto da alcune forze politiche. Ne segnaliamo alcune.
Il primo è che la “universalità” del diritto umano all’acqua, in termini di accesso garantito ad un minimo vitale, viene riconosciuto e garantito solo agli utenti domestici residenti che versano in condizioni di documentato stato di disagio economico-sociale, sulla base di criteri peraltro individuati dall’Autorità di regolamentazione e non dai Comuni o dallo Stato.

Il diritto umano all’acqua, come tutti di diritti umani, è a valenza universale ed in quanto tale è lo Stato che lo deve garantire a tutti i “cittadini” a livello di minimo vitale, cioè dei 50 lt/pers/giorno prendendo a carico i costi attraverso la fiscalità generale, nel rispetto dei principi sanciti dalle Organizzazioni internazionali per i diritti umani e non limitarsi a coprire i costi di alcune “utenze”, cioè consumatori in difficoltà.

La seconda osservazione è che l’accesso al diritto, in termini di minimo di base vitale per la dignità della vita umana non può essere subordinata a vincoli economici come la copertura di tutti i costi del servizio, (principio del Full recovery cost) anche per il minimo vitale.

Se è vero che questo vincolo economico deriva dalla opzione politica di voler classificare il servizio idrico di interesse generale a valenza economica e quindi soggetto alle regole del libero mercato, va praticata dai Parlamenti la scelta politica, autonomia riconosciuta anche dalla Commissione UE, di escludere il servizio idrico dalle regole del mercato e della concorrenza classificandolo come servizio pubblico di interesse generale preso in carico dallo Stato.

Purtroppo questa scelta di campo non è sempre condivisa da alcune forze politiche e Movimenti mobilitati a difesa dell’acqua come “bene comune”. Diversi pensano che il diritto all’acqua e la tutela dell’acqua come bene comune pubblico sia garantito dalla natura del modello di gestione o possa essere difeso come un diritto soggettivo territoriale garantito da modelli di gestione territoriale (la Città, il bacino di ambito, etc.) in assenza di quadri giuridici, di strumenti legislativi nazionali ed internazionali e di Piani finanziari nazionali di sostegno che riconoscano il diritto, definiscano le modalità di applicazione e di tutela del diritto umano e dei diritti del ciclo naturale dell’acqua.

Il Contratto Mondiale sull’acqua, è pertanto impegnato a rendere vincolante la concretizzazione del diritto umano all’acqua e la giustiziabilità delle violazioni attraverso strumenti di diritto internazionale o legislazioni nazionali; a livello internazionale con la proposta di adozione di un Protocollo Internazionale per il diritto umano all’acqua che definisca i vincoli procedurali , a livello italiano attraverso una legge quadro nazionale (più che di principio costituzionale) che riconosca e garantisca l’accesso come diritto umano universale all’acqua. Nel contempo siamo impegnati a contestare questa visione finalizzata a derubricare il diritto all’acqua in un “bonus sociale” o in un “diritto economico-sociale soggettivo da garantire solo alle fasce disagiate o ai morosi o ai poveri. Il diritto umano all’acqua è universale, autonomo e specifico e come tale va garantito a tutti i cittadini e non può essere trasformato in “bonus sociali o elemosine” concesse a fasce di utenti o di consumatori in funzione dell’obiettivo della sostenibilità economica. A livello nazionale, abbiamo esplicitato queste nostre riserve rispetto alle criticità su come garantire il diritto all’acqua, con una memoria depositata nel corso di una audizione alla Commissione Ambiente del Senato sul DDL 2343 su “ Principi per il governo e la gestione pubblica dell’acqua” e successivamente inviando una lettera al Ministro dell’Ambiente Galletti con riferimento alle criticità avanzate da alcuni funzionari del Ministero .
ultima modifica: 18/10/2016 Alma P.

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